"Il Selvaggio"
di Marlon Brando
Il selvaggio -"The wild
one", 1953, di László Benedek con Marlon Brando e Lee Marvin- trae
ispirazione dal racconto "The Cyclists' Raid di Frank Rooney,1951"
realizzato partendo da un fatto di cronaca del 4 luglio 1947, quando la
cittadina di Hollister, in California, venne messa a ferro e fuoco da una banda
di motociclisti. Fatto già di per sé divenuto un'icona della cultura biker,
tanto da fare della cittadina meta di pellegrinaggio di tutti i bikers del
mondo. Il film, a distanza di sessant'anni, può far sorridere per l'ingenuità
con cui vengono rappresentate certe dinamiche, (già in Hells Angels on Wheels,
del 1967 con Jack Nicholson, mai tradotto in Italiano, tali ingenuità erano
state ben messe da parte) ma occorre tener presente, qualora lo si vedesse oggi
per la prima volta, che per l'epoca sia l'interpretazione di Marlon Brando del
protagonista Johnny, sia il modo di fare dello stesso e perfino il suo look
erano manifestazioni palesi di ribellione alla società americana, tanto da
divenire velocemente vere e proprie icone non soltanto per i motociclisti ma
per tutta la gioventù dei ribelli, proprio quella che di lì a poco sarebbe
diventata la Rock Generation, la cui influenza su un'infinità di usi e costumi
è visibile a tutt'oggi -provate un po' ad immaginare un qualsiasi film in cui
il bel tenebroso di turno non indossi una giacca di pelle, non inforchi Ray Ban
o non tiri fuori una moto almeno in una sequenza!-.
La trama è abbastanza semplice e,
vista con gli occhi di oggi, quasi banale. Una banda, la Banda Ribelle
Motociclistica nella traduzione italiana, che in realtà era il Black Rebel
Motorcycle Club, porta scompiglio sulla strada senza una ragione apparente,
arrivando al punto di attraversare a piedi e in gruppo un circuito sul quale si
sta disputando una gara motociclistica -con tutte le conseguenze del caso-
rubando altresì il trofeo dedicato al secondo posto (il primo stava troppo in
alto....) Trofeo che messo in bella mostra da Johnny sulla moto diventa la
pietra dello scandalo, quando in un'altra cittadina la banda di Johnny incontra
quella del rivale (ed ex capo) Lee "Chino" Marvin. La rissa tra i due
capi che si contendono il trofeo viene interrotta da un attaccabrighe del
paese, infastidito per il caos fatto dai motociclisti. Chino viene arrestato
per aver aggredito l'uomo e lo sceriffo propone a Johnny un veloce rilascio se
lui avesse ordinato alle due bande di lasciare immediatamente la città. Johnny
rifiuta, e nelle ore successive la città viene turbata dalle intemperanze delle
due bande, momentaneamente riappacificate, che grazie anche a fiumi di birra ne
combinano di tutti i colori. La tensione tra motociclisti e cittadini arriva al
culmine quando Johnny dà l'ordine ai suoi di liberare Chino e di mettere in
cella l'attaccabrighe residente al suo posto. I duri della città decidono
quindi di unirsi e ribellarsi alla specie di assedio a cui sono sottoposti,
trovando in Johnny il capro espiatorio a cui far pagare tutte le prepotenze
subite.
Johnny, che invece nel frattempo si sta dedicando a tentare di sedurre
la cameriera del bar, tra l'altro figlia dello sceriffo -che prima gli risponde
picche e poi inaspettatamente gli chiede di fuggire con lui, e lui rifiuta!-
viene quindi catturato e pestato proprio un momento dopo aver ordinato ai suoi
di partire, trovandosi quindi solo a fronteggiare un'intera città imbestialita.
Riesce a scappare ma, durante la fuga in moto, dalla folla qualcuno gli tira un
cacciacopertoni, lo colpisce, Johnny cade ma la moto lanciata continua la sua
corsa andando ad investire un anziano barista, uccidendolo.
Casualmente proprio
in quel momento arrivano i rinforzi chiesti a gran voce dallo sceriffo, che
arrestano buona parte dei motociclisti ed in primis il nostro Brando, accusato
ora di omicidio. Qualche minuto di suspance e poi la bella barista che tenta di
scagionarlo dalle accuse, cosa in cui non riesce in quanto, effettivamente, le
prove sono tutte contro il ragazzo. La disperazione della ragazza muove però a
compassione gli unici due che realmente hanno visto il lancio dell'attrezzo
metallico che aveva causato la caduta e la morte del malcapitato. Neanche a
dirlo, sono lo zio della barista ed un suo amico i quali, testimoniando quindi
la mancanza di responsabilità di Johnny riguardo alla caduta, lo scagionano
definitivamente. Chissà perché, a questo punto la ragazza non è più innamorata
di lui, tant'è che se ne resta sorridente seduta al bar quando il bel Brando le
regala il trofeo, nonché l'unico sorriso di tutto il film, come ringraziamento
prima di andarsene solitario.
Scherzi a parte, andando oltre la trama un po’ ingenua, Il Selvaggio rappresentò veramente una sorta di scandalo per l'epoca, una vera e propria rottura con i canoni del passato non solo eleggendo a protagonisti di un film, ma addirittura rendendo affascinanti e quasi giustificandoli, quelli che allora erano visti come i delinquenti, i cattivi esempi e via dicendo. Certo, oggi ciò non solo è normale ma popolarissimo (pensate ai film su mafiosi/camorristi ecc...) ma allora suscitò tanto scalpore che in Inghilterra la pellicola venne vietata ai minori di quattordici anni, e la Triumph manifestò pubblicamente il suo disappunto in quanto, secondo la dirigenza, le loro belle moto erano state messe in mano ad un branco di delinquenti perdigiorno e ciò era lesivo dell'immagine e della tradizione della celebre casa motociclistica britannica. Il solo fatto che a tutt'oggi, esattamente sessant'anni dopo, due terzi dei biker del mondo girino con "chiodo" e Ray Ban e la stessa Triumph abbia dovuto tirar fuori delle repliche delle moto del film (cosa che a detta di molti ha anche scongiurato il secondo fallimento della sua storia di factory) dovrebbe essere un chiaro segno di quanto Il selvaggio abbia lasciato il segno nell'immaginario di tutti, ribelli e non.
Andrea Mariani
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