mercoledì 26 agosto 2015

Distinguished Gentleman's Ride 2015



Fervono i preparativi per l’edizione 2015 del Distinguished Gentleman’s Ride. Memori del successo dell’edizione dello scorso anno, gli addetti ai lavori si stanno dando da fare per replicare e migliorare ancora. L’ormai iconico raduno dedicato a moto d’epoca, special, cafè racer e scrambler e’ organizzato in tutto il mondo, nello stesso giorno, per supportare la ricerca sul cancro alla prostata. Il 27 settembre, parole d’ordine della giornata saranno come al solito Eleganza, quella con la “E” maiuscola, stile, spensieratezza e divertimento. Ed ovviamente Motociclette. Vecchie, nuove, fatte in casa o dream bike non ha importanza, purché esprimano la personalità dei rispettivi centauri. Come lo scorso anno, la manifestazione farà base al Cafe Twin in quel di Via Mesula 12 a Roma. L’ officina romana, che anche quest’anno organizzerà l’evento in collaborazione con il motoblogger Luke Inazuma e con i ragazzi del Brittway Garage, metterà a disposizione i suoi spazi per far ammirare le ultime creazioni dei maggiori preparatori della scena attuale. Sarà poi possibile dissetarsi a suon di birre artigianali spillate nell’attiguo locale Inofficina e, per i più sensibili al look, anche approfittare della mano creativa dei barbieri sponsorizzati dalla Proraso. 
A breve maggiori informazioni. 


Info e contatti:
cafetwin@gmail.com
inazumaluke@yahoo.com


martedì 25 agosto 2015

Dossier: Ducati Desmo 350


Cafè Racer chiavi in mano: Ducati Desmo 350.

Quando si parla di Ducati Desmo 350 -che come i 250 ed i 450 nacquero dal famosissimo mono a carter stretto- viene subito in mente la "pallottola d'argento", stupendo esempio di meccanica d'autore all'italiana. Il modello immediatamente successivo, però, la Ducati Desmo 350 model year 1973, forse per la sua suggestiva -ed unica disponibile- livrea giallo ocra appare un po' più cattivo e corsaiolo, grazie anche al freno anteriore a disco -optional che molti scelsero- che, per l'epoca, suggeriva un'impostazione più votata alla pista che non alla strada.




Se il modello Desmo del 1971, infatti, rappresentava l'apice delle mono sportive da strada, il proiettile giallo ocra mirava ad avvicinare almeno nell'estetica la moto alle inarrestabili evoluzioni tecniche dei giganti nipponici che, già a tre anni di distanza dalla sua presentazione, la facevano apparire leggermente datata. La Desmo rappresentava quindi la versione spinta della gamma "Mark 3",con sovrastrutture in vetroresina per favorire la leggerezza ed un'impostazione di guida più cattiva grazie ai comandi arretrati.


La seconda serie, model year 1972, beneficiò di un leggero aumento della potenza, di una nuova accensione elettronica. E qui arriviamo al modello che ci interessa, il Desmo 350 model year 1973. Già solo guardandola, si resta affascinati. Ma appena il mono comincia a girare e si fanno i primi metri in sella, l'estetica passa in secondo piano. E si capisce perché questo modello è probabilmente il più amato ed il più odiato dagli appassionati. Il motore ha prestazioni brillanti, sicuramente superiori a tutti gli altri mono dell'epoca, e se ne apprezza immediatamente il tiro ai bassi regimi e l'allungo sorprendentemente buono per un monocilindrico, merito anche dell'ottimo cambio a cinque marce. La ciclistica poi è eccezionalmente equilibrata, ottimo connubio tra leggerezza, agilità e stabilità, tutte cose che aiutavano il buon carter stretto a spuntarla anche nei confronti di cilindrate e potenze maggiori. E fin qui, di pregi per far innamorare i racers nostrani e non, ce ne sono fin troppi. Passiamo, purtroppo, alle note dolenti. Il mono va una favola se può vantare una messa a punto ottimale, cosa estremamente difficile da realizzare anche per molti meccanici navigati ma privi di quel "qualcosa in più" che li rende quasi artisti.
In caso contrario diviene alquanto scorbutico in marcia, ammesso che si riesca a farlo partire. Inoltre vibra notevolmente e, complice anche un assemblaggio in origine non proprio eccelso, frequentemente lascia il pilota alle prese con bulloni allentati, staffe spaccate (gli strumenti pare fossero sempre le prime vittime a cadere sulla pista di... battaglia!") e danni più o meno gravi che all'epoca di sicuro non contribuirono a dare alla moto una reputazione di solidità.  Cose che andavano tenute in considerazione al momento dell’acquisto, nel 1973, ma anche e soprattutto oggi se si intende acquistare -oppure semplicemente usare come si deve- una di queste moto. Le abbondanti soluzioni tecniche di gran livello, motivo principale di prestazioni altisonanti, si pagano  tramite una complessità generale che potrebbe essere un buon motivo per rinunciare all’acquisto se non si è sicuri di poterla tenere in perfetto ordine di marcia, e non basta credere di sapere dove mettere le mani.
Tanto per dirne una, la registrazione delle punterie -operazione che tutti i racers conoscono bene  come imprescindibile ma anche piuttosto semplice da realizzare sulla maggior parte dei motori, su questa in particolare diventa operazione difficoltosa, visto che il gap tra l’estremità del gambo della valvola ed il bilanciere è colmato da apposite pasticche spessorate, che vanno inserite tenendo in compressione la molla…  Oppure la messa in fase dell’accensione che, per quanto si possa essere esperti, risulta difficile da fare in mancanza di appositi segni di riferimento. A distanza di quarant'anni, però, anche i difetti del carter stretto, che comunque nei lontani anni '70 non riuscirono ad inficiare troppo il successo della gamma, non sembrano poi così importanti. E davvero non si può non rimanere a bocca aperta davanti alla Desmo 350.
Si viene rapiti prima dall'eccezionale equilibrio della linea, poi dalla bellezza del mono che pare più una scultura che un organo meccanico ed infine da un gusto di guida tutto Italiano che cattura anche chi è abituato a potenze e telai di tutt'altre generazioni. Poi, parliamoci chiaro. Ai cafè racers di oggi, come a quelli di allora, non interessano poi così tanto le prestazioni assolute. L'importante è lasciarsi dietro gli amici sulla circonvallazione e farsi notare dalle ragazze, magari avvisandole del passaggio facendosi annunciare da un rombo inconfondibile. 
E queste caratteristiche la Desmo le aveva tutte, allora e forse oggi ancor di più. Certo, le quotazioni raggiunte ora da questi modelli non li rendono propriamente alla portata di tutti...



Testo: Andrea Mariani
Foto: Motociclismo d'epoca

domenica 2 agosto 2015

Tecnica: Cambiare i paraolio in una forcella tradizionale / Change fork seals in traditional (right way up) Forks.



Quarta puntata della rubrica dedicata alla manutenzione ordinaria in vista, finalmente, del ritorno sulla strada. Stavolta vedremo come andare a sostituire i paraolio della forcella di tipo tradizionale. Cambiare i paraolio forcella è un' operazione  necessaria nel caso in cui si riscontrino trafilaggi d'olio dai medesimi, spesso causati dalla polvere accumulatasi durante la marcia. E' un'operazione leggermente più complessa rispetto alla  sostituzione dell'olio della forcella anteriore (Non sai come fare? Clicca qui), a cambiare le pastiglie dei freni (Non sai come fare? Clicca qui) o sostituire la catena di trasmissione (Non sai come fare? Clicca qui), argomenti trattati nelle precedenti puntate, ma anch'essa non è un'operazione in assoluto complicata. Ovviamente richiede una buona dose di manualità, un minimo di esperienza e qualche attrezzo, nonché la conoscenza delle operazioni da eseguire. Quindi, andiamo ora a vedere come si interviene  su una moto "tipo", approfittando del video How to change fork seals in traditional (right way up) Forks. Come teniamo a ribadire ad ogni puntata della rubrica, l'operazione cambierà leggermente se girate a bordo di Honda, Kawasaki, Yamaha, Suzuki, Triumph ecc... ecc... Ma la base è però la stessa per cui, una volta capito la teoria, si potrà andare a vedere nella pratica dove e come aggiustare il tiro... Buona visione.

Andrea Mariani


I video pubblicati si intendono condivisi al solo scopo informativo, gli autori degli stessi restano titolari di ogni diritto al riguardo.  MOTOeTUTTOilRESTO declina ogni responsabilità riguardo interventi operati in base ad essi da utenti professionisti e non professionisti.

Prova: Suzuki GSX 1100 E



Suzuki GSX 1100 E, la Katana più dolce...

La Suzuki GSX 1100 E fece il suo ingresso nei concessionari nel 1982, presentandosi come versione più dolce della celeberrima Suzuki GSX 1100 Katana, moto che alla sua presentazione suscitò sensazione per le linee futuristiche, tese e squadrate della carrozzeria e per il motore rabbioso e potente. 

La GSX 1100 E, sebbene di estetica più convenzionale, non era certo la versione povera delle GSX Katana, tanto per cominciare grazie al motore, che con circa 110 cavalli nulla aveva da invidiare -se non addirittura da farsi invidiare- alle contemporanee della medesima categoria. Un dato per tutti, la velocità massima si aggirava intorno ai 230 km/h, cifra che non ha bisogno di commenti anche se per tenerla per più di 5 secondi un po' di copertura aerodinamica si sarebbe resa necessaria. La linea,

poi, incontrò invece i favori dei fedelissimi del marchio più conservatori che, per quanto lo guardassero e riguardassero, non erano mai riusciti a digerire completamente quel cupolino appuntito e squadrato, segno inconfondibile della sorella Katana, che però o si odiava o si amava, non c'erano mezze misure. Certo, il doppio ammortizzatore posteriore non era poi il massimo per una bestia da 237 kg, soprattutto se si pensa che contemporanee e più magre concorrenti, senza far nomi, già viaggiavano sospese a dei pro-link che rendevano sicuramente di più. All'anteriore invece la forcella faceva il suo dovere e manteneva il mostro piuttosto stabile, aiutata anche da un sistema appositamente progettato per evitare la battuta a fondo corsa.
Le coperture, 3,50 x 19 anteriore e 4,50 x 17 posteriore oggi sono senza dubbio misure che fanno sorridere per questa categoria di moto, ma allora erano perfettamente in media e, anche oggi, si dimostrano egregie con uno stile di guida non esasperato, lo stesso da adottare per un telaio pur ben concepito ma che denuncia i suoi anni. Il motore è un discorso a sé. Robusto, affidabile, potente e, in due parole, moderno e tutt'oggi attuale, non può far parlare di sé, se non in bene. La guida risulta particolarmente intuitiva, sempre tenendo
presente dimensioni, coppia -9,4 mkg a 6500 giri/min- e soprattutto peso, e con un po' di manico ci si tolgono tuttora belle soddisfazioni anche nei con fronti di medie sportivette tutto pepe. Certo, meglio non farsi prendere la mano sulle statali tutte curve perché la cara suzukona non è certo un fuscello da buttar giù come nulla fosse. Il "sodo" del progetto è però tutt'ora valido, e a dimostrarlo basta il fatto che nel 1991, quando cominciò a registrarsi il ritorno dei motociclisti alle moto di sostanza, stanchi ed un po' esasperati dalle carene sempre più elaborate e dall'elettronica in moltiplicazione esponenziale, la Suzuki rispose con la GSX 1100 G, che non aveva troppo di differente dalla E del 1982 -eccezion fatta per il mono posteriore, ovviamente- e che incontrò un successo di pubblico notevole.   


Andrea Mariani