sabato 19 ottobre 2013

Dossier: Yamaha RD 500 LC


RD 500 LC by Yamaha: missile terra aria dagli anni ‘80
Quando si pensa a nomi come Yamaha RD 500 LC, tra noi motociclisti diviene automatica un’associazione mentale al soprannome Bara Volante. In realtà, le prime e uniche Bare Volanti furono la Kawasaki H1 500 e la sorella maggiore 750,  missili veri e propri, con strabordanti motori tre cilindri due tempi imbrigliati in telai quasi ridicoli equipaggiati con freni e sospensioni degni di un 125, che furono sogno ad occhi aperti e causa di decesso per molti giovani degli anni ’70. Per la sia pur discendente di genere Yamaha, la leggenda non ha molto a che vedere con la realtà. 


Certo, l’ RD 500 non è propriamente una moto tranquilla, con 227 km/h di punta massima ed un tempo di 11,955 sul quarto di miglio. Sia l’erogazione del motore che le qualità di telaio e freni,  ne fecero all’epoca del suo esordio una moto fantascientifica per prestazioni,  look -era pressoché identica alla moto da GP di Kenny Roberts Senior- e soluzioni tecniche, ma per guidarla bastava un sano “manico” da esperto e non serviva necessariamente una buona percentuale di pazzia. Certo, discorsi del genere ad oggi fanno un po’ sorridere visto che giriamo abitualmente con mostriciattoli da 150 cv per 150kg, o che motorette utilitarie da neopatentati come la Kawasaki ER 5 (non conosci questo modello? Clicca e vai all'articolo!) viaggiano tranquillamente nell’ordine dei 50 cv. Ma ricordiamoci che, nell’epoca d’oro di cui stiamo parlando, una media sportiva poteva essere rappresentata tranquillamente dalla Honda CX 500,(non conosci questo modello? Clicca e vai all'articolo!) un bel ferro da 50 cv per più di duecento kg in ordine di marcia, per cui immaginate lo stupore che suscitò Yamaha quando, nel 1983, presentò la RD 500 LC, quattro cilindri a v raffreddati a liquido, due tempi ad ammissione lamellare mista, accreditata di 87,17 cv a 10.250 g/min e di una coppia pari a  6,17 kgm a 9.250 giri.
 La chicca più interessante era senza dubbio il sistema di valvole allo scarico YPVS -Yamaha Power Valve System- che ottimizzava la curva di erogazione del motore a tutti i regimi, garantendo prestazioni pari se non superiori a quelle dei modelli da 750 cm³ con motore a quattro tempi,  mentre la cattiveria che suggerivano i quattro scarichi ad espansione -anche se due si notavano poco, nascoste sotto la carenatura ai lati della sella- suscitava sensazione ad una generazione abituata ai classici tromboncini cromati. Per dirla in due parole, un’astronave.
 Oggi, l’RD è comunque un bel mezzo, che regala sensazioni di guida sportiva d’altri tempi e divertimento assicurato grazie ai suoi numeri, ad un telaio a punto, ad un impianto frenante all’altezza della situazione e ad una dolcezza d’erogazione -dolcezza si fa per dire- veramente impensabile per un V4 due tempi. Anche il comportamento su strada appare sostanzialmente neutro, malgrado l’avantreno tenda sempre a prendere il volo in accelerazione ed il posteriore a scodare spalancando il gas in uscita di curva, ma ad una signora di trent’anni si perdona questo ed altro. Fanno un po’ sorridere le coperture, veramente stonate all’occhio odierno per una sportiva, ma una volta in sella fanno quello che devono ed, anzi, viene quasi da chiedersi se oggi non sprechiamo un bel po’ di caucciù… 
L’RD attualmente è diventata un vero e proprio mezzo di culto, sia per le caratteristiche innate sia per la sensazione suscitata al momento della sua apparizione, e nutre a livello europeo una folta schiera di fedelissimi, raggiungendo anche quotazioni notevoli. Certo, all’epoca il missile rossonero -o biancorosso, a seconda dei gusti- soffriva un po’ la concorrenza di un altro missile per eccellenza, la Suzuki RG 500 Gamma (Non conosci questo modello? Clicca e vai all'articolo), che parlando di numeri puri, in realtà ne aveva qualcuno di più. Era anche molto più scorbutica e meno appariscente, però -e a nostro parere leggermente più goffa- e questo probabilmente fu il motivo che non decretò affatto un “passaggio di consegne” ma anzi innescò un accesissimo duello da bar tra gli estimatori dell’una e dell’altra… Per noi, la scelta sarebbe molto semplice… Metterle entrambe in garage!

Andrea Mariani
Scheda tecnica:

Lunghezza 2.085, larghezza 705, altezza  1.135 mm -sella: 780 mm-, interasse: 1.375 mm, peso a secco 200 kg, serbatoio da 22 l di cui 5 di riserva.
Motore: quattro cilindri due tempi a V di 50º, con cilindri superiori a 5 luci e inferiori a 4 luci e lubrificazione separata, raffreddamento: a liquido, cilindrata 499 cm3 (Alesaggio 56,4 x Corsa 50,0 mm), distribuzione lamellare mista con ammissione superiore nei cilindri e inferiore nel carter, alimentazione: 4 carburatori Mikuni VM 26SS.
Potenza: all'albero 87,17 CV a 10.250 g/min
Coppia: all'albero 6,17 kgm a 9.250 g/min
Rapporto di compressione: 6,6:1 (a luci chiuse)
Frizione: Dischi multipli in bagno d'olio
Cambio: a 6 rapporti in cascata e innesti frontali
Trasmissione: primaria con ingranaggi a denti dritti 31/69 (2.225), secondaria con catena a giunti torici 15/38 (2.533)

Telaio: doppio trave e doppia culla chiusa scomponibile in tubi d'acciaio a sezione rettangolare, con telaietto saldato.
Sospensioni: anteriore: forcella teleidraulica Kaiaba con foderi in alluminio e steli 37 mm con sistema anti-affondamento; Posteriore: forcellone oscillante in acciaio e monoamortizzatore oleopneumatico regolabile in 5 posizioni di precarico
Freni: anteriore a doppio disco da 267 mm;  posteriore a disco singolo da 245 mm
Pneumatici: anteriore 120/80V16; posteriore 130/80V18.
Consumo medio: 11,5 km/l

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